bbtween
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Galleria Gherardi30 Senigallia – 4 aprile 2009
CATALOGO: Catalogo bbtween
OPERA: bbtween
La distinzione dell’indistinto
Il lavoro di Nico Macina si dispone nellʼordine della perdita ed in quello dellʼacquisizione, le sue foto si situano in una sorta di limen tra definito e indistinto. Il ritratto, ambiguamente si pone come pretesto immaginale poiché la figura persa in una sfocatura che vela significativamente i connotati fisionomici, viene contrapposta ad un fondo perfettamente delineato da una ossessiva,quanto algida descrittività. Il modus operandi di Macina è ancora più sottile, poiché si concretizza in un ulteriore intervento che riconduce lʼoperazione intrapresa ad un livello che riguarda più decisamente lʼepidermide fotografica. Il testo figurale è quindi dissezionato in una sorta di autopsia visiva e concettuale,quasi che lʼartista sovrapponga varie categorie del vedere sino alla con-formazione di una immagine compiuta, seppur apparentemente incongrua. Il ritratto, si diceva, è il pretesto ed il testo da cui parte Macina, evidenziato e scaldato emotivamente dallʼassunzione di modelli che peraltro hanno rapporti di amicizia con lʼautore. In questa “messa in posa” si insinua già una sorta di larvale decostruzione; le figure non si presentano attraverso una palesante messa a fuoco dei particolari, ma suggeriscono il loro esserci attraverso lʼadozione di una decisa sottrazione di nitidezza che le pone in una sorta di limbo indistinto. Le figure sono di fatto come rinserrate tra due griglie operative che si danno come duplice modalità dellʼimmagine: lo sfondo e lʼintervento di superficie. Lo sfondo adotta un esplicito principio di banalità nellʼuso di motivi decorativi prestampati, reso ancor insinuante da una messa a fuoco ben curata e attenta nellʼevidenziare la texture del materiale adottato. Non cʼè però preziosità visiva, solo una laconica constatazione di esplicito schermo frontale,contro cui il personaggio si staglia, quasi che questo sia una sorta di ingombro visivo, con la sua indistinta presenza, che occlude la vivace docoratività dello sfondo. Lʼaltro intervento, è il caso di dirlo, si dispone sul piano epidermico della superficie, intaccando la figura stessa in una sorta di artificiale alterazione distratta dellʼoperatività fotografica. Quindi filamenti, pressioni digitali, macchie, tutto un corredo di errori e disordini sorta di enunciazione di errori che di norma vanno evitati nel corso del procedimento fotografico e di stampa della pellicola. Il gioco è quindi dichiarato, la pelle della fotografia è volutamente inquinata da inserti apparentemente casuali ed incidentali, che formano una prima epidermide visiva. La figura è già in un piano arretrato e si propone nella sua presenza indistinta come schermo intermedio, lo sfondo dichiarato e visualizzato da una precisa e banale descrittività, si pone quindi come strato profondo dellʼimmagine, dichiarando lʼattitudine marcatamente concettuale di tutta lʼoperazione. Risulta palese ciò che è sotteso alla dichiarazione visiva di Nico Macina, il suo lavorio sullʼimmagine diviene metafora del percepire attraverso il mezzo della percezione per tradizionale eccellenza, quale la fotografia con la sua presunta neutralità visiva si è spesso proposta. La sua indagine visiva gioca quindi la carta del supposto sapere, confondendo lʼerrore palese con lʼintervento espressivo e la mancanza visiva con lʼeccedenza del senso in una sorta di decostruzione che ricostruisce invece nuove modalità significative del metodo fotografico.
Maurizio Cesarini
