GUEST
GUEST
Daniela Carati – Nico Macina
17 settembre – 24 ottobre 2010 Museo di San Francesco Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea della Repubblica di San Marino
A cura di Massimiliano Messieri
Testi critici di Valerio Dehò e Martina Selva
OPERA: Special Guest
La fotografia e il fantasma.
Opera omaggio alla rassegna, “Special guest” è un lavoro in cui il mondo contemporaneo collassa nella storia dell’arte. Una leggera ironia, qualche dissacrante parallelo, ma tutto sommato il lavoro site specific di Macina richiama l’ospitabilità e l’attesa per chi arriva a cena, rifacendo un’ultima cena trasformata in pic nic. I bicchieri di plastica, i piati dello stesso magnifico materiale, la bottiglia di vino e la tovaglia allestiti all’aperto, sono segni di un richiamo alla storia dell’arte e ad una iconografia consueta, prosciugata fino alla posterizzazione dell’immagine. Ma il titolo evoca anche l’attesa per un ospite d’onore, come lo può essere il Salvatore, a suo modo una star di un sistema di credenze in cui tutto il mondo contemporaneo è sprofondato. Macina crea ambiguità, allargamenti di senso, cioè fantasmi.
Infatti l’ospite non si vede, come non si vedevano nemmeno tanto bene i suoi amici ritratti in una serie del 2006 chiamata “Between”. Sullo sfondo di altre tovaglie, di geometrie da mercatino rionale, si stagliano le immagini sfocate di giovani dall’identità soffusa. Sopra le immagini altre impronte, graffi, sporcizia in termini fotografici, quasi a suggellare una distanza, un’impossibilità a vedere bene le cose soltanto per un fatto tecnico, per un dato oggettivo.
E rientrano nell’immateriale categoria del fantasma anche i lavori precedenti, come “Città giocatolo” del 2004 in cui il bianco e nero ritorna alle origini di una sperimentazione fotografica che è ormai storia. Tra il graffito e la foto off camera, ancora una volta si gioca con le tracce, Nico Macina ha saputo dare vita a qualcosa che non c’è, forse perchè non ci può essere. Il bianco e nero dà aulicità e nobiltà al segno degli oggetti, sembra quasi che la fotografia si faccia da parte, si sposti lateralmente per far entrare qualcosa che vuole rimanere estraneo alla rappresentazione. Segni, tracce, fantasmi, appunto.
Anche in “Tra il verde e il secco” del 2005 il colore fa diventare maggiormente narrative le immagini, al limite del troppo, ma tutto evoca qualcosa che non è visibile, le tracce portano ad una realtà che il mezzo annuncia senza esaurire completamente.
In tutto il suo lavoro Macina lavora per evocazioni, come se avesse colto della fotografia la sua componente magica. Nell’era dell’elettronica vi è in questi lavori una fedeltà all’idea che quello che accade dentro la macchina fotografica o da ripresa è qualcosa di non completamente conoscibile ed esplicitabile. Vi è sempre qualcuno che se ne appena andato oppure non è ancora arrivato in queste immagini. I fantasmi muovono gli oggetti ma non appaiono mai completamente, altrimenti forse sarebbe chiaro il loro inganno, la precarietà dell’apparire in cambio dell’essere.
Valerio Dehò
